Distruzione
Conta fino a tre e senti il mondo spegnersi; è la fine.
La distesa nera non sa che d'inchiostro,
e le luminose fisse, le mie stelle da comodino
non spiano più i tuoi passi.
E gli anni colano sul cuscino,
una chirurgica fama di folla che si scolla come carta.
Stringo le dita a pugno, ma la ferita mi cancella come gesso su una lavagna.
Io non esisto, se non ora,
se non nel tempo della distruzione metafisica della memoria.
Gli orologi ticchettano ed intralciano l'ingorgo dei nervi,
strappano l'immagine perenne,
la tua faccia scorticata e ferruginosa
che ancora balbetta parole di ghiaccio.
Non ti comprendo. E io continuo a dormire,
con un brillio di scaglie che mi attanagliano la morte dei sensi,
il sonno profondo. La paralisi più soffice,
l'immobile nulla da addentare
che culla la veste nuziale del ricordo,
un pallore affaticato; inciampo in stralci di tessuti
e cuori bruciati,
mentre un verminoso sorriso stentato mi pasticcia la faccia.