Conta fino a tre e senti il mondo spegnersi; è la fine.
La distesa nera non sa che d'inchiostro,
e le luminose fisse, le mie stelle da comodino
non spiano più i tuoi passi.
E gli anni colano sul cuscino,
una chirurgica fama di folla che si scolla come carta.
Stringo le dita a pugno, ma la ferita mi cancella come gesso su una lavagna.
Io non esisto, se non ora,
se non nel tempo della distruzione metafisica della memoria.
Gli orologi ticchettano ed intralciano l'ingorgo dei nervi,
strappano l'immagine perenne,
la tua faccia scorticata e ferruginosa
che ancora balbetta parole di ghiaccio.
Non ti comprendo. E io continuo a dormire,
con un brillio di scaglie che mi attanagliano la morte dei sensi,
il sonno profondo. La paralisi più soffice,
l'immobile nulla da addentare
che culla la veste nuziale del ricordo,
un pallore affaticato; inciampo in stralci di tessuti
e cuori bruciati,
mentre un verminoso sorriso stentato mi pasticcia la faccia.
Cammino, in silenzio, trasportato dal vento
incontro sguardi curiosi e denti smaglianti
sorrido e proseguo.
Sono stanco, già, ma le gambe vanno
i muscoli oramai sono d'acciaio
le ginocchia imparano a sopravvivere.
Il cielo si tinge di rosa alla sera
spruzza bianche nubi e purpurei tramonti
mentre mi meraviglio a osservare
e gli altri osservano me.
È come un gioco
guarda chi osa guardare
stupisci dello stupefatto
ma tu non ci provare.
Perché? Hai paura di scoprire?
Gli scalini son tanti
su e giù scricchiolanti
poi, d'improvviso, uno scorcio di luce
tra le mura si nota un piccione
arranca su di un fragile appiglio
e ricambia il mio sguardo d'amore.
La gente entra nei negozi
han tutti le teste abbassate
incapaci di realizzare cosa si nasconde in alto
un mondo vitale di canti e schiamazzi;
io lo miro, estasiato.
Rondini cinguettanti svolazzano sopra le mura
giocano, si salutano, un convoglio d'amore
e mi accorgo d'un tratto della condivisione:
sotto, in basso, un esercito di persone
turisti, commercianti o semplici passanti
più in su la vita animale
ali che sbattono in continuazione
becchi che si aprono a ripetizione
un concerto per privilegiati ascoltatori.
È una strana commistione
ma entrambi conviviamo assieme
vicini eppur lontani
due mondi completamente opposti
però, talvolta, qualcuno si riesce a infiltrare
e così a capire, empatia stellare.
Tutto mi appare così meraviglioso
che non posso fare a meno di deliziarmi
addirittura una musica potente mi sconvolge
mi attira come pioggia
le chiese mi offrono riparo
la Natura mi avvolge tra le sue spire.
Anche i gatti padroneggiano in città
camminano dritti, sicuri, senza timore
una carezza e via
gli ho passato un po' d'amore.
Va bene, adesso è giunto il momento di rientrare
la stanchezza comincia a farsi sentire;
vero, donne e sorrisi mi avvinghiano con passione
ma serate vane e alcolismi non fan per me
sono più pronto a dormire.
Mi accingo verso casa
quella casa che oramai porto sempre con me
dura e pesante, ma amata
e mentre cammino, ancora e ancora
anche se a volte nervoso
sento che gli occhi son riverenti
una strana energia mi accompagna
come se Dio illuminasse la mia strada
cerco l'umiltà, la modestia del viaggiatore
però tutti mi ammirano con soggezione
una candida luce si apre sulla mia missione
e continuo nella giusta direzione.
Una parte di me è scomparsa,
Non capisco dove sia.
Il buio l'ha assorbita,
Mangiata,
Divorata.
Vorrei la vomitasse.
Era la mia parte migliore,
la parte di me che piaceva a tutti,
la parte che tutti cercavano,
la parte che li spingeva a volermi con loro.
Ora rimango io,
io soltanto,
l'io sbagliato.
Come posso tornare ad essere quel che ero?
Chi ero?
Non lo so più.
Prendimi fiume
nella tua profondità
d’abissi verdi,
accogli benevolo
il mio silenzioso addio
**
Eufemia
Poesia dedicata ad Emily Dickinson